martedì 27 maggio 2008

Ciao Sidney...


Ci sono delle persone che non comosci, ma che ti ispirano qualcosa dentro. Non conoscevo Sidney Pollack, ma ammiravo il suo lavoro. Più volte ho usato lo pseudonimo Max Pollack in omaggio al grande regista e attore. Sicuramente Hollywood perde un grande artista, ma di lui rimarranno sempre i suoi film...
L'attore e regista è morto a 73 anni nella sua casa sulla costa di Los Angeles stroncato da un cancro. Premio Oscar per "La mia Africa". Aveva diretto Sean Penn e Nicole Kidman in "The Interpreter" e recitato in Michael Clayton.
Il regista di Hollywood Sydney Pollack, che aveva vinto sette Oscar con l’epica storia d’amore di "La mia Africa" e raccolto grandi consensi per "Tootsie" e "Michael Clayton", è morto ieri dopo avere combattuto contro un cancro. Lo ha detto la sua portavoce. Aveva 73 anni, era nato il 1 luglio 1934 a Lafayette, nell’Indiana. Pollack è morto nella sua casa sulla costa del Pacifico in un sobborgo di Los Angeles verso le cinque del pomeriggio, circondato dai suoi familiari. La portavoce Leslee Dart ha detto che a Pollack era stato diagnosticato un tumore 10 mesi fa, ma i medici non sono mai stati in grado di determinare l’origine della malattia. Negli ultimi anni Pollack si era dedicato alla produzione e alla recitazione e ultimamente era ancora in tabellone a teatro con "Made of Honor". Una volta aveva definito la sua passione per la recitazione come "una scusa per spiare gli altri registi". Era tornato nell’orbita degli Oscar lo scorso anno, recitando una parte importante nel thriller legale "Michael Clayton", di cui è stato produttore, che vedeva protagonista George Clooney. Il suo trionfo è giunto nel 1985 con "La mia Africa", con Meryl Streep che interpretava una proprietaria di una piantagione di caffè in Kenya e Robert Redford nel ruolo di un avventuriero americano di cui lei si innamora. Il film aveva ottenuto 11 nomination agli Oscar e ne ha vinti sette, tra cui quelli a Pollack per la miglior regia e fotografia.
La sua opera Pollak è uno dei cineasti più inventivi della Nuova Hollywood, autore di capolavori di valore assoluto come "Questa ragazza è di tutti" (1966), "Non si uccidono così anche i cavalli?" (1969), "Yakuza" (1974), ma soprattutto "I tre giorni del condor" (1975), opera che narra gli intrighi della Cia ma nella quale è facile percepire il richiamo all’oscura vicenda del Watergate, di tre anni prima. Dopo varie nomination e qualche riconoscimento di contorno, coronò finalmente la propria carriera nell’86, quando conquistò ben sette premi Oscar per "La mia Africa" (1985), tra cui quelli per il migliore film e la migliore regia; il suo palmares complessivo resta comunque invidiabile, e comprende tra l’altro un Golden Globe, un paio di David di Donatello, un Nastro d’Argento a Venezia, una menzione speciale a Berlino.
Lo stile. A quel tempo, nell’era reaganiana, Pollack aveva ormai gradatamente preso le distanze dal suo stile di denuncia e di analisi sociale, asciutto e visionario al tempo stesso, reso celebre tra gli addetti dall’artificio del "cerchio", suo marchio personalissimo, per convertirsi in abile artigiano del cinema popolare, confezionando veri e propri "blockbusters", non privi di pregio artistico e approfondimento politico, come "Diritto di cronaca" (1981) e "Tootsie" (1982): una propensione che in realtà lo animava fin dalle origini, e che era già emersa in maniera eccellente in "Come eravamo" (1973). Fu anche attore misurato e produttore lungimirante, capace di valorizzare il tirocinio giovanile in teatro prima e alla televisione poi; collaborò tra l’altro con Alfred Hitchcock ad alcuni episodi per il piccolo schermo della serie "Alfred Hitchcock presenta": dal grande maestro mutuò forse il gusto per i cammei personali nei propri film, che si concedeva peraltro con parsimonia. Nell’arco della sua vita Pollack seppe sempre fare tesoro dell’esperienza. Da ragazzo, figlio di un farmacista, avrebbe voluto fare il dentista; poi optò per il mondo dello spettacolo, e seguì le orme del fratello Bernie, costumista, trasferendosi a New York dalla natia provincia e studiando recitazione alla "Neighborhood Playhouse" sotto la guida del leggendario insegnante Samford Meisner.
La famiglia Lui stesso insegnò per parecchi anni, inframmezzati da un bienno sotto le armi, e in quel periodo incontrò colei che sarebbe diventata sua moglie, Claire Grisworld. La coppia avrebbe avuto tre figli tra i quali Steven, il primogenito, perito tragicamente nel ’93 in un incidente aereo in California. Già dagli inizi Pollack cercò e trovò la collaborazione con i migliori attori: nelle diverse fasi della sua evoluzione stilistica, infatti, fu sempre molto attento al lavoro degli interpreti, la cui importanza strategica per la riuscita di un’opera sapeva valutare meglio della maggior parte dei colleghi, lungi da qualsiasi tentazione divistica e dall’arroganza del creatore. Un orientamento mai tradito, come comprovarono la collaborazione con Robert Redford, già suo attore di riferimento, insieme al quale fu co-fondatore del "Sundance Institute", autentica istituzione del cinema americano svincolato dalle grandi majors; e con la "Film Foundation" di Martin Scorsese. Era anche un convinto sostenitore del Partito Democratico, scelta di campo che traspariva dal suo lavoro: un esempio tra tutti, "Il cavaliere elettrico" (1979) e il già citato "Non si uccidono così anche i cavali?". Ironico e rilassato sul set, negli ultimi anni non esitò a fare la parodia di se stesso: come quando partecipava alla sit-com "Will & Grace", o quando apparve in una puntata del serial poliziesco "The Sopranos", prestando il volto a un ex medico incarcerato per aver sterminato la famiglia.

sabato 10 maggio 2008

Una piccola precisazione...

Non so se avete letto nei commenti sul post "8 Maggio". Bene, uno degli ultimi commenti è firmato Leonardo, un signore che navigando in rete, ha fatto visita al nostro blog, e per spirito di curiosità è venuto al teatro a vedere la nostra rappresentazione.
Indipendentemente dal commento (che peraltro io ho particolarmente gradito) sul bello o sul brutto, vorrei far notare che il teatro, come noi lo intendiamo, non si regge sulle grosse produzioni, ma da gente che ci perde delle ore, che sputa sangue, che spende dei soldi per essere pronta all'apertura del sipario. Se tutti avessimo la visione di Leonardo (non da Vinci), della semplice persona, amante dell'arte, non in senso assoluto, ma nel senso di uscire una sera, essere incuriositi da una bella locandina, ed andare a vedere qualcosa di non firmato, i teatri avrebbero linfa vitale, che non è il vil denaro, ma la gratificazione di un pubblico... Poi alla fine ognuno se ne torna a casa con il proprio pensiero, annoverando la compagnia tra i buoni o tra i cattivi...
Siamo lontani anni luce da realtà come la Francia o come l'Austria o l'Inghilterra, per non parlare della macchina spietata che è Broadway. Il Sig. Leonardo giovedì sera ha spento la tv spazzatura, si è alzato dalla poltrona, è uscito dalle quattro mura casalinghe ed è andato in un teatro. Ha preferito il nuovo, il non visto, ha commentato, si è confrontato con me, mi ha stimolato a fare meglio... Se leggete il suo commento, la sua critica, potrete leggere che il lavoro fatto non è da buttare, anzi, ha colto chiaramente i punti forti e i punti deboli, e se ci dovesse essere ancora un seguito, ci ha suggerito un punto da cui ripartire e migliorare.
Questo significa fare teatro, questo significa guardare il teatro... Non i nomi scritti sulla locandina, ma ciò che ci suggerisce la locandina... Grazie Leonardo e grazie a tutti quelli che sono venuti. A chi è rimasto a casa per pigrizia, o a chi avrà detto "questi non li conosco", a chi è rimasto a vedere un rissoso talent show dico: beh! vi siete persi una bella serata fatta di gente vera, di cantanti veri, di balletti veri, con pregi e difetti, di gente che ha sperato in quell'applauso vero, non becero e isterico, di gente che almeno una sera ha vissuto un momento da protagonista e che da quell'applauso ha forse trovato la voglia per continuare..................

venerdì 9 maggio 2008

Dice il saggio...


Già chi sarà l'ultimo a chiudere la porta? Una porta aperta tanto tempo fa che sembra ieri... Proprio ieri in quel di di Prato è andata in scena l'ennesima rappresentazione del nostro lavoro, mai uguale rispetto alla volta prima... Si perchè a noi piace anche, non cannibalizzare il teatro che ci ospita, bensi renderlo parte integrante del nostro lavoro. E' un concetto strano per chi intende far teatro, ma noi non abbiamo mai detto di farlo... Eppure ancora una volta eravamo la, a recitare i soliti gesti, che poi soliti non sono mai, perchè c'è sempre un emozione in più che pervade i miei ragazzi... A dirla così sembra che abbia 80 anni, ma in certo senso, se dico miei ragazzi, è per sottolineare quel filo di strana unione, sottile ma forte al tempo stesso, che ci lega ogni qualvolta siamo insieme. Lo so, ho un caratteraccio, e non sopporto correre per partecipare, ma non mi piace neanche correre per vincere: voglio correre per fare del mio meglio, e così deve essere per tutte le persone che compongono la squadra. Non sopporto le incomprensioni che rallentano la macchina.... Certò non tutti siamo uguali, e ognuno ha il suo carattere, sopratutto le donne (e qui si scateneranno in diverse), però logorarmi in discussioni sterili mi fa passare quel buono che ho nella vena dicendo: "ma chi me l'ha fatto fare?". Ieri sera me lo ha fatto fare un ottimo risultato di tutta la squadra, diciamo che si è manifestata come il Max pensiero, seria, propositiva, ordinata, precisa... Tutto ha funzionato sin dalla mattina, ad iniziare dal montaggio tecnico. Poi, a fine serata, siamo finiti a bere una birra, un bel gruppo di bella gente, e l'immagine più bella che conservo è di una sana partita a biliardo tra i ragazzi e ragazze della compagnia .. (chissa se il mio amico Gabriele ha colto l'immagine...) Sono tornato a casa stanco, mentre le luci della città mi indicavano la strada da seguire verso il mio letto... Passando dall'aeroporto ho visto un aereo arrivare ed un altro partire... Sarà così anche la nostra storia? Chissà... Nel frattempo il sole è tornato e il caldo ha permesso di riporre i maglioni che ti coprono durante il freddo inverno ed io sono tornato ad indossare magliette con improbabili scritte... E' un addio o un arrivederci? Dice il saggio...