mercoledì 20 gennaio 2010

Equo compenso, ma stiamo scherzando?!?!?!?!?


E cosi mentre noi eravamo a smaltire le sbornie dei vari cenoni natalizi preparandoci al 2010 come anno del riscatto, il 30 dicembre il ministro Bondi – per fare un favore alla Siae e proteggere il diritto d’autore degli “artisti” – ha concepito l’ennesima italica tassa in termini di innovazione e tecnologia. Come se non bastasse dei "furti" giornalieri di quel carrozzone creato da un ottima idea di Ricordi e trasformato in società nel 1882, oggi il Ministro dei Beni e attività culturali ha pensato bene di introdurre questa tassa chiamata equo compenso .... Ma chi sono i futuri "tassati"? Ma semplicemente a tutti i possessori di memorie fisiche (hard disk, telefoni, macchine fotografiche, dvd, cd, chiavi USB, etc). Perchè direte voi. Semplice! Dato che la Siae lucra già su di un attività che vede impegnate numerose persone (leggi il post precedente) il Ministro che dovrebbe amministrare ha pensato bene di girargli questa "piccola" fetta di mercato (si parla di 40 milioni di telefoni cellulari sparsi per l'Italia) così tanto per gradire. Il maggior fastidio di questa decisione, non è la tassa in se, ma il fatto che la Siae commette ogni giorno, a locali, bar, ristoranti, negozi, teatri, un vero e proprio salasso in termini monetari, pensando ad esempio al famoso euro o euro e mezzo applicato ad un biglietto per il teatro, o ai famosi borderò che i cantanti riempiono ogni volta che cantano le canzoni. Nessuno si è mai chiesto perchè tali "lenzuoli" costino una cifra fissa e non variabile rispetto ai brani eseguiti. Oggi arriva anche questa, con lo scopo di "proteggere" il diritto d'autore successivamente l'aquisto di un CD musicale di Renato Zero (per intendersi) perchè noi pagassimo anche la nostra lecita intenzione di riprodurlo, ad esempio, sulla chiavetta MP3 che usiamo quando andiamo a fare joggin. Diciamo che fin qui potrebbe anche essere logico. Ma dato che non siamo dei vulcaniani a quanto ammonta il costo della tassa? Un forfettario euro a dispositivo? Non penso proprio anzi, dalla tabella estrapolata da tale decreto leggiamo che una chiave USB di 1 Gb pagherà 3,22 euro, praticamente il costo della stessa. Una compact flash per la nostra macchina fotografica da 8 Gb, avrà un surplus di 4,51€ ovvero 1/4 del costo. Il top è per i supporti di memoria come gli hard disk, che oltre i 250Gb pagheranno la bellezza di 28,98€ praticamente il costo dello stesso hard disk. La Siae si difende dicendo che in Europa tutti i prodotti che permettono la copia delle opere prevedono da anni il compenso. In Francia i compensi dal 2008 sono il 50% più alti di quelli stabiliti dal decreto e in Spagna, ad esempio su il cellulare, il compenso è di 1 euro e 10, in Croazia è di 1 euro e 37 centesimi. Il compenso stabilito dal decreto in Italia è 0,90, il prezzo minimo di un caffè. Personalmente faccio una grossa difficoltà a comprendere il motivo per il quale i cittadini italiani dovrebbero essere costretti ad offrire un caffè alla Siae ogniqualvolta acquistano un cellulare. Non gli bastano i caffè provenienti dalle gabelle applicate al settore amatoriale? Una delle più rilevanti assurdità del decreto sta proprio nell’estensione del prelievo a cellulari, pc, decoder, game console che non hanno come funzionalità principale la duplicazione di contenuti digitali. In Europa, come ha avuto modo di ricordare Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, 23 Paesi su 27 non prevedono alcun compenso sui cellulari mentre i pc sono tassati in un solo Paese e nessuno tassa le game console.

La macchina Siae nel 2008 è costata oltre 187 milioni di euro. A nostro avviso il sistema culturale italiano non può permettersi di supportare costi di questo genere ed è, d’altro canto, facile immaginare che se Siae operasse in un mercato aperto anziché in posizione di monopolio i costi di esercizio si ridurrebbero rapidamente e drasticamente. Sempre dal bilancio 2008 si rileva che la Siae ha circa 650 milioni in disponibilità liquide e 336 milioni di immobilizzazioni finanziarie. Insieme fanno il 77% del patrimonio. In altri termini, 3/4 del patrimonio Siae è costituito da depositi presso conti correnti e conti titoli. Il motivo di così tanta liquidità sta proprio nell’attività di Siae: la società raccoglie i diritti, li deposita in propri conti e solo in un secondo tempo li distribuisce ai legittimi titolari. Se si considera che i diritti distribuiti ammontano ogni anno a poco meno di 700 milioni di euro, si capisce per quale ragione Siae disponga di tanta liquidità. E’ dunque vero che, come si legge nel bilancio “tale componente reddituale, benché di natura finanziaria, va annoverata fra i proventi tipici del business” ma, proprio per questo motivo, è tanto più grave quell’investimento in 40 milioni di euro in Lehman & Brother che si è trasformato in una perdita patrimoniale secca di 35 milioni. Questo, nei fatti, non costituisce un investimento effettuato dalla società, ma di una speculazione fallimentare compiuta con i soldi degli autori. Tale defaillance, pertanto, si configura come un gravissimo errore di gestione per il quale sarebbe auspicabile avviare una indagine parlamentare.

1 commento:

Anonimo ha detto...

un post ampio ed esaustivo dell'ultima porcata di tasse e balzelli.

Francesco